Per molti osservatori le prossime elezioni per il Parlamento europeo saranno uno spartiacque fondamentale per il futuro dell’Unione e del suo progetto di integrazione politica, economica e sociale su scala continentale. Per la prima volta nella storia quarantennale del Parlamento, infatti, la sfida proveniente dal campo sovranista – per quanto variegato ed eterogeneo – rappresenta una minaccia concreta a quelli che sono i valori condivisi di integrazione e prosperità comune. Per molti osservatori le prossime elezioni per il Parlamento europeo saranno uno spartiacque fondamentale per il futuro dell’Unione e del suo progetto di integrazione politica, economica e sociale su scala continentale. Per la prima volta nella storia quarantennale del Parlamento, infatti, la sfida proveniente dal campo sovranista – per quanto variegato ed eterogeneo – rappresenta una minaccia concreta a quelli che sono i valori condivisi di integrazione e prosperità comune.

Sebbene, nella realtà dei fatti, l’onda euroscettica e le forze sovraniste difficilmente riusciranno a insidiare la maggioranza in pugno alle tradizionali forze europeiste in seno all’Emiciclo, le elezioni di domenica potrebbero tuttavia innescare un processo di erosione interna del ruolo e della legittimità dell’Unione assolutamente da prevenire. Per scongiurare un simile risultato sarà necessario puntare sulle aree di maggiore successo del progetto europeo. Già a partire dal voto di domenica.

Leadership globale cercasi

Per quanto indebolita e contestata da una parte dei suoi cittadini, l’Unione europea rappresenta un’incredibile storia di successo: 28 paesi (in attesa di scoprire il destino del Regno Unito), oltre 500 milioni di persone che vivono in modo pacifico, si muovono, lavorano, studiano liberamente in ogni angolo del continente, la seconda economia a livello mondiale, con un Prodotto Interno Lordo di quasi 19 trilioni di euro, pari al 22% del totale globale. Un’indiscussa e salda leadership internazionale – per quanto scalfita dai postumi della crisi economico-finanziaria, da Brexit e dagli screzi intra-nazionali sulla questione dei migranti – sui temi dei diritti e delle tutele sociali così come in materia di ricerca, tecnologia e innovazione industriale.

Ma c’è un tema sul quale l’Unione europea è di gran lunga il principale attore nello scacchiere internazionale. Un tema attorno al quale l’UE, insieme ai suoi Stati membri, può e deve tanto costruire il suo futuro sul piano interno, quanto rafforzare la sua proiezione su scala globale. Il tema della transizione energetica, della decarbonizzazione dell’economia e della lotta ai cambiamenti climatici.

L’UE e la sfida dei cambiamenti climatici

I cambiamenti climatici indotti dall’innalzamento delle temperature globali rappresentano una delle più serie e complesse minacce su scala planetaria, con implicazioni irreversibili su un numero elevato di ecosistemi, nonché sulla vita di gran parte degli esseri umani. Calotte polari in scioglimento e crescita del livello dei mari, aumento di fenomeni meteorologici estremi e inondazioni, progressiva desertificazione e ondate di calore senza precedenti caratterizzeranno il futuro del pianeta terra se l’aumento delle temperature non verrà mantenuto sotto 1,5° entro la fine del secolo. Con implicazioni dirette e indirette sull’uomo, dall’accesso alle risorse alimentari e idriche, alla necessità di migrare per far fronte a condizioni di vita resesi insostenibili.

Di fronte a queste sfide, con grande lungimiranza, già nel 2006 l’UE ha adottato un approccio comune e integrato in materia di politiche energetiche e climatiche, introducendo i primi target per la riduzione delle emissioni di CO2, la crescita delle energie rinnovabili e il miglioramento dell’efficienza energetica al 2020, con l’ambizioso obiettivo della quasi totale decarbonizzazione dei consumi nel 2050. Sebbene i primi risultati siano incoraggianti – dal 1990 a oggi l’UE ha sperimentato una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 23%, a fronte di una crescita dell’economia del 53% – l’urgenza della minaccia climatica impone all’Europa un’azione ancora più decisa e ambiziosa, sia sul fronte interno che su quello internazionale.

Di necessità virtù

I cambiamenti climatici rappresentano una minaccia globale, che come tale necessitano di una risposta congiunta da parte della comunità internazionale. Per questo motivo, oltre agli sforzi sul fronte interno, l’azione di Bruxelles dovrà garantire una crescita del suo ruolo guida sul piano internazionale.

Sul piano interno, l’Unione e gli Stati membri sono chiamati a ridurre ulteriormente – e in modo significativo – la propria impronta di CO2 senza però impattare sulla crescita economica e sul benessere dei propri cittadini. In questo contesto, la maggiore sfida/opportunità per il futuro dell’Europa è riuscire ad avanzare con il processo di decarbonizzazione attraverso una trasformazione dell’economia in senso low-carbon, sostenibile e circolare. La necessità di affrontare i cambiamenti climatici, quindi, potrà tramutarsi in opportunità di crescita economica trainata da processi di innovazione, sviluppo tecnologico e trasformazione industriale. Dallo sviluppo delle rinnovabili alle bio-energie, dall’idrogeno alle smart-grids, passando per i sistemi di demand-response e di accumulo ai veicoli elettrici, le grandi sfide del futuro economico-industriale in Europa (e su scala globale) si giocano attorno ai temi della transizione energetica e della lotta ai cambiamenti climatici.

Ciò, tuttavia, potrebbe non bastare. Con solo l’8% delle emissioni di CO2 totali oggi l’Unione europea incide in modo limitato all’innalzamento delle temperature globali. Altri player internazionali, Cina e Stati Uniti in primis (28% e 15% delle emissioni rispettivamente), hanno attualmente un impatto ben più significativo sulla tenuta climatica del pianeta, ed è nei loro confronti che l’UE sarà chiamata a giocare un ruolo di promotore (e garante) della cooperazione multilaterale. Sulla scia di quanto ottenuto dall’Accordo di Parigi nel 2015, ma con rinnovati livelli di ambizione, l’Unione dovrà riuscire a mobilitare la comunità internazionale nella lotta per il clima.

Implicazioni per il futuro

Quindici anni fa l’Unione europea ha intrapreso, con un mix di lungimiranza e coraggio, una strada per nulla scontata. Quella di assumersi un ruolo di guida della transizione energetica e dei processi di decarbonizzazione. Un ruolo non semplice, spesso associato a costi socio-economici e perdita di competitività per l’industria continentale, ma che tuttavia ha permesso di ridurre in modo significativo l’impronta europea sull’aumento delle temperature, garantendo al contempo all’Europa e alle sue aziende un ruolo di apripista in una serie di settori tecnologico-industriali abilitanti per la transizione energetica e climatica.

In un momento in cui alcune grandi potenze internazionali stanno investendo in modo significativo nella transizione energetica (in Cina, ad esempio, vengono installati ogni anno oltre 65 GW di capacità rinnovabile e immatricolati oltre un milione di veicoli elettrici), questo vantaggio comparato deve essere valorizzato – e non sperperato – da parte delle istituzioni e dell’industria europee. Il settore low-carbon rappresenta infatti uno degli assi portanti dell’economia del presente e del futuro, sia nel continente che su scala mondiale.

Tanto la prosperità economica dell’Europa, quanto la sostenibilità dell’intero pianeta dipendono da un approccio ambizioso e coerente ai temi della trasformazione energetica e della lotta ai cambiamenti climatici. Soltanto un’Unione europea che esca forte e coesa dalle urne di domenica 26 potrà ambire a guidare questi processi.