Cosa possiamo realisticamente aspettarci da Brexit? L’opzione dell’uscita senza d’accordo potrebbe rivelarsi l’unica politicamente percorribile per il governo e il partito di maggioranza. D’altra parte, non esiste nei Commons una maggioranza per alcuna ipotesi alternativa – come dimostra l’esito delle votazioni alla Camera dei Comuni della scorsa settimana, quando sono state respinte tutte alternative al piano Brexit della premier May.
Che l’accordo raggiunto con l’Unione – il cd. Withdrawal Agreement – non piaccia nel Regno Unito è comprensibile. L’Unione non ha concesso nulla alle richieste del Regno Unito – che si è visto imporre un pesante financial settlement e ha dovuto accettare l’odiato backstop (cioè la continuazione delle regole europee sul mercato interno in Irlanda del Nord) per tenere aperta la frontiera tra le due Irlande. La successiva dichiarazione politica ottenuta dalla May in extremis – con l’impegno reciproco a terminare il backstop al più tardi entro la fine del 2020 – non cambia la situazione.
Alcune lezioni
Gli eventi tumultuosi degli ultimi mesi ci lasciano alcune lezioni importanti – che oggi puniscono il Regno Unito pesantemente. Primo, uscire dall’Unione è piuttosto difficile, perché una parte importante delle regole e delle infrastrutture che presiedono all’accesso al mercato interno dovrebbe essere ricostruita. Secondo, chi pensa che si possa uscire dall’Unione e allo stesso tempo mantenere i benefici derivanti dall’appartenenza al mercato interno si sbaglia della grossa. Il ricorso a una fase transitoria pospone il problema, non lo risolve. Anche l’appello al principio di equivalenza delle regole può solo valere per un periodo limitato e comunque non garantisce la certezza dell’accesso al mercato, dato che esso riposa sulla concessione unilaterale delle autorità europee. Terzo, anche l’idea secondo cui ci sarebbe là fuori un mondo aperto pronto ad accogliere il transfuga a braccia aperte con favorevoli accordi commerciali appare piuttosto illusoria. Qualunque paese in uscita sarebbe da solo troppo piccolo per disporre di serio potere negoziale – e dunque sarebbe un rule-taker nello scenario mondiale del commercio e della regolamentazione.
Le regole del mercato interno non sono negoziabili
Il negoziato ha fornito anche altre indicazioni importanti. La prima è che i paesi membri sono uniti nella difesa integrale delle quattro libertà di movimento – di beni, servizi, capitali e persone. Questa unità non è separabile; l’accesso al mercato interno non può essere concesso su piede di parità con i paesi membri senza previa accettazione del pacchetto completo.
Inoltre, più significativo, le vicende relative all’accordo di libero scambio con il Canada (CETA) hanno chiarito anche che le regole del mercato interno non sono negoziabili nell’ambito di un normale negoziato commerciale – perché esse rispondono a scelte di public policy che appartengono ai parlamenti nazionali, oltre che al parlamento europeo (competenze condivise). Ciò spiega perché i servizi finanziari, di massima importanza per il Regno Unito, siano usciti dal tavolo negoziale quasi immediatamente.
Sull’impatto di Brexit, c’è poco da dire. Il Regno Unito pagherà almeno inizialmente, e per diversi anni, un prezzo elevatissimo. Questo non è vero per i paesi membri dell’Unione. Un recente studio della Fondazione Bertelsmann quantifica i danni di welfare in circa 800 euro di reddito pro-capite per il RU, 700 per l’Irlanda, 120-130 per Germania e Francia. Questo squilibrio spiega molto della debolezza negoziale del Regno Unito al tavolo.
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Una questione rilevante si apre per la finanza. Londra è diventato negli ultimi trent’anni il mercato dei capitali dell’Unione europea. Potrà continuare ad esserlo? Cosa succederà? Al riguardo, è probabile che nel Regno Unito si sottovaluti l’importanza avuta dal mercato europeo per il mercato dei capitali di Londra. Se questa attività verrà rimpatriata, il costo per la City potrebbe essere significativo. È anche possibile che le grandi banche d’investimento americano decidano di riportare a New York le attività che svolgevano a Londra per poter godere dell’accesso al mercato europeo.
Infine, i regolatori ci metteranno certamente del loro nel determinare l’esito finale: è difficile credere che potranno accettare a lungo che una parte importante del capital market risk venga gestito fuori dai confini della loro giurisdizione. Dunque, la pressione a rimpatriare le attività regolate è destinata a crescere.