La Cortedi giustizia ha riconosciuto una terza opzione al Regno Unito oltre alledue espressamente contemplate dall’art.50 TUE: non solo uscita con accordo o uscita senza accordo (come previstodal Trattato), ma anche revoca della notifica di recesso prima della scadenzadei due anni o della proroga pattuita con l’Unione.
La dottrina era fortemente divisasulla questione: per taluni la revocabilità del recesso avrebbe indebitamenterafforzato la posizione negoziale dello Stato recedente, in danno degli altriStati membri e dell’Unione; per altri la irrevocabilità avrebbe creato unasituazione sbilanciata in senso opposto, sacrificando oltre misura la sovranità delloStato recedente e pregiudicando un’uscita ordinata dall’Unione; per altriancora l’interpretazione dell’art. 50 poteva essere riequilibrata, ammettendobensì la revocabilità del recesso ma subordinandola al consenso del Consiglioeuropeo.
Perché Brexit potrebbe essere revocabile?
La Corte di giustizia si è espressain favore della revocabilità unilaterale della notifica di recesso,argomentando in base alla formulazione letterale, alle finalità e al contestodell’art. 50 (costituito dal diritto dell’Unione nel suo complesso), come pure allaluce delle norme internazionali applicabili.
Sul primo punto (la formulazioneletterale), dal momento che l’art. 50 parla di notifica da parte dello Statointeressato della “intenzione” di recedere, la Corte osserva che “un’intenzionenon è, per natura, né definitiva, né irrevocabile”. Sul secondo punto (finalitàperseguite), ad avviso della Corte la norma intende garantire il dirittosovrano e unilaterale di uno Stato di lasciare l’Unione, come pure diconservare il suo status di membro prima che il recesso diventi effettivo. Sulterzo punto (il contesto), la Corte richiama l’obiettivo di “un’unionesempre più stretta” perseguito dall’Unione e i valoridi libertà e democrazia su cui essa si fonda. A suo avviso, non sarebbe pertantocoerente costringere all’uscita dall’Unione uno Stato che, in esito a unprocesso democratico, manifesti la volontà di continuare a farne parte. Nésarebbe giustificato subordinare la revoca al consenso dell’Unione, che l’art.50 contempla bensì ma per un’ipotesi che la Corte ritiene sostanzialmentediversa (la proroga del termine dei due anni). Infine, quanto alle normeinternazionali, la Corte trova conferma della sua tesi nell’art. 68della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, ai sensi del quale lanotifica di recesso da un trattato può essere revocata in ogni momento primache abbia avuto effetto.
Qualche dubbio c’è
Gli argomenti invocati dalla Cortenon appaiono peraltro decisivi. Non lo è quello letterale, dato che l’art. 50parla di decisione ancor prima che intenzione di recedere (“Lo Stato membro chedecide di recedere notifica tale intenzione […]”). È dubbio quello teleologico,perché la norma si preoccupa di tutelare non solo gli interessi dello Statorecedente, ma anche quelli dell’Unione, coinvolgendo le sue istituzioni nelnegoziato sulle condizioni del recesso. Ugualmente incerto appare il richiamoal contesto: eventuali ripensamenti democratici, che inducano lo Statorecedente a ritornare sulla sua decisione, non sono preclusi dall’art. 50, cheindica però la via della ri-adesione all’Unione. Quanto all’art. 68 dellaConvenzione sul diritto dei trattati, è discutibile che sia una norma didiritto internazionale consuetudinario applicabile all’Unione; e d’altra parte,la notifica di recesso potrebbe considerarsi produttiva di effetti fin dal suo arrivoal Consiglio Europeo.
Le motivazioni della sentenza della Corte
È palese che, al di là delleconsiderazioni giuridiche, la sentenza è motivata dall’intento di facilitare unpossibile ripensamento del Regno Unito. Si tratta evidentemente di una finalitàapprezzabile. Resta il fatto che la pronuncia della Corte sull’interpretazionedell’art. 50 fa ormai stato; è quindi destinata ad applicarsi non solo allaBrexit, ma a ogni altra iniziativa di recesso dall’Unione che dovessepresentarsi in futuro. Si delinea così il rischio, paventato dai critici dellarevocabilità unilaterale, di un uso strumentale della medesima attraverso lapossibile introduzione di una nuova notifica di recesso dopo il ritiro diquella precedente. Il che determinerebbe fra l’altro la vanificazione dellascadenza dei due anni: scadenza derogabile bensì ai sensi dell’art. 50 ma solocon il consenso unanime del Consiglio Europeo, e dunque di tutti gli altri Statimembri.
Il rischio di un uso strumentale della revoca
Di questo rischio si fa espressamente carico l’Avvocato General Campos Sanchez-Bordona nelle sue conclusioni relative al caso in esame. Egli ritiene tuttavia il rischio abbastanza remoto, se si tiene conto delle autorità nazionali coinvolte in una procedura di recesso; considera, inoltre, che eventuali comportamenti scorretti potrebbero essere sanzionati sotto il profilo dell’abuso di diritto, in forza di un principio ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte. Del problema si da’ carico in maniera più indiretta la sentenza della Corte, laddove richiede che la revoca debba essere “univoca e incondizionata”, confermare “l’appartenenza all’Unione in termini immutati” e porre “fine alla procedura di recesso”. Il che sembra escludere la legittimità di revoche con mere finalità tattiche e dilatorie; ma è facile rendersi conto di quanto possa risultare poi difficile far valere in concreto una siffatta illegittimità.