di Valeria Termini
L’incontro di Katowice in Polonia a dicembre 2018 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici è la prima tappa attuativa degli Accordi di Parigi e deve costruire strumenti e strategie condivise per il percorso di decarbonizzazione deciso a Parigi da tutti i Paesi del mondo (tranne Siria e Nicaragua). Dalla lungimiranza dei leader dei principali Paesi – Cina, Stati Uniti e Unione europea in primo luogo – dipende la possibilità di coinvolgere i popoli delle diverse aree del pianeta, le comunità locali, i cittadini, l’industria e persino la finanza nella costruzione di un nuovo modello di crescita e di sviluppo, rispettoso dell’ambiente, orientato al benessere collettivo e a una nuova alleanza tra generazioni, al posto dell’angusto assetto competitivo e antagonista in cui si dibatte oggi la popolazione del pianeta.
La visione dei leader in campo non è scontata, ma è un’occasione storica in cui l’urgenza esterna offre la possibilità di dare sostanza a un Accordo multilaterale già firmato. L’opposizione di Trump richiede un ruolo forte dell’Europa e una strategia di alleanze.
E l’Europa?
L’Unione europea gioca sul proprio terreno – leader nel contrasto al cambiamento climatico fin dall’inizio, dal Protocollo di Kyoto, è oggi all’avanguardia nelle tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Ha un’occasione imperdibile di portare la propria voce, la propria storia e la propria visione e coprire così il vuoto di leadership lasciato aperto da Trump, che ha minacciato di ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo, accanto alla Cina che nella guida di questo processo rischia altrimenti di essere l’unica potenza investita di un nuovo ruolo di leadership globale nel contrasto al cambiamento climatico.
E l’Italia?
Il nostro paese ha bisogno di un’Europa forte su questo terreno, in particolare dopo il venir meno della leadership americana, per almeno due motivi.
In primo luogo l’Italia si è già mostrata vulnerabile agli eventi atmosferici estremi connessi al cambiamento climatico. I recenti disastri hanno messo in evidenza le difficoltà che derivano dalla diffusione dell’abusivismo edilizio, ancora oggi oggetto di condoni, dalla manutenzione inadeguata di infrastrutture vecchie non resilienti di fronte a fenomeni climatici di portata straordinaria, dalla esposizione costiera a inondazioni e alla rottura degli argini dei fiumi. La fotografia di Venezia coperta da 156 cm di acqua è apparsa nella prima pagina del New York Times; 600 delle 750 frane europee dovute a vento e inondazioni sono avvenute in Italia, mentre milioni di alberi abbattuti nel settentrione hanno impoverito la copertura boschiva del paese. Sono necessari controlli e manutenzione secondo i criteri europei, ma ancor più serve al paese la prevenzione di eventi climatici estremi attraverso la riduzione di emissioni di gas a effetto serra, ormai riconosciuti tra le cause primarie di questi fenomeni, secondo programmi di cui l’Europa può essere protagonista nei negoziati globali.
L’Italia è particolarmente esposta anche ad altri effetti del clima: la popolazione ha risentito della temperatura elevata, nel 2018 cresciuta di 1,49° rispetto alla media storica, con le conseguenze di un clima quasi tropicale. La desertificazione dei territori nell’Africa centrale è inoltre una delle cause di flussi migratori enormi e crescenti interni al continente africano; oltre alla tragedia vissuta dalle popolazioni locali, si pone un problema serio per la capacità di accoglienza dei migranti ambientali che finiscono per premere sulle nostre coste. Anche per questo l’Italia deve contribuire a rafforzare una visione lungimirante dell’Unione europea e affidarsi alla capacità negoziale dell’Europa perché sostenga negli Accordi globali misure di prevenzione collettive contro il cambiamento climatico.
Ma l’Italia ha bisogno di una posizione negoziale forte dell’Europa anche per un secondo profilo, positivo. Il nostro paese è molto avanzato nella transizione energetica, sia per la produzione da fonti rinnovabili (ha già superato quest’anno l’obiettivo del 17% di rinnovabili sul consumo di energia previsto dall’Europa per il 2020, ha raddoppiato i consumi da fonti rinnovabili tra il 2005 e il 2016 ed è così al terzo posto tra i Paesi dell’Unione), sia per la tecnologia digitale di frontiera utilizzata per adeguare le infrastrutture alla produzione di energia decentrata con pannelli solari e pale eoliche – le reti elettriche in particolare – sulla spinta di una regolazione incentivante, sia per le misure di efficienza energetica che hanno ridotto la domanda di energia sulla crescita del prodotto interno lordo.
Il paese si sta attrezzando anche per mettere in rete le nicchie di ricerca di frontiera e per trasferire all’industria l’esito della ricerca svolta dalle Università e dai centri di studio teorico di eccellenza, con lo sviluppo di incubatori per le imprese. L’Energy Center di Torino è un esempio di questo impegno nei confronti delle imprese: già in sinergia con il Politecnico di Torino e le istituzioni locali si è avviato a irrobustire i propri legami con l’Università di RomaTre, il Belfer Center di Harvard e l’Istituto Affari Internazionali, in materia di energia e cambiamento climatico.
L’esito della Conferenza di Katowice potrebbe aprire spazi di crescita industriale all’Italia in un settore in cui è competitiva e offre prodotti di frontiera. Anche per questo l’Italia si deve affidare alla capacità dell’Europa nei negoziati con le grandi potenze per contribuire alla costruzione di un nuovo modello di crescita nel quale l’ambiente ha finalmente la considerazione necessaria.
L’Italia da sola non ha alcun potere negoziale sui tavoli internazionali; ma l’Europa può riprendere la leadership di un percorso di crescita sostenibile, in rappresentanza dei 500 milioni di abitanti e dei Paesi membri, che corrisponde ai valori sociali della sua origine e alla domanda di equità delle giovani generazioni. La maggiore autonomia lasciata dagli Accordi di Parigi rispetto alla concezione accentratrice e vincolante del Protocollo di Kyoto è un passo avanti. Ma senza una rappresentanza forte della voce dell’Europa, sarebbe perdente lasciare alla Cina coprire da sola il vuoto aperto dalla intemperanza commerciale miope di Trump: è un’occasione storica di crescita che l’Italia non vorrebbe perdere.