di Valeria Termini

Il 6 dicembre si sono riuniti a Katowice, in Polonia, i Capi di Governo di tutto il mondo per dare concreto avvio agli Accordi di Parigi firmati nel 2015 nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

Per la prima volta dopo 30 anni si è raggiunto un accordo globale per affrontare il cambiamento climatico attribuito alle emissioni di gas-serra: a Parigi hanno aderito anche Stati Uniti e Cina, i maggiori responsabili oggi delle emissioni inquinanti. L’obiettivo concordato è mantenere l’aumento del riscaldamento del pianeta entro un livello significativamente inferiore ai 2°C rispetto ai valori pre-industriali, che significa abbattere del 45% le emissioni clima-alteranti rispetto al 2010 entro il 2030. Oggi si riversano nell’atmosfera circa 50 milioni di tonnellate di CO2 all’anno di emissioni, che cumulativamente hanno già provocato un aumento del riscaldamento del pianeta di circa 1°C; e se il trend continuasse invariato, nel 2050 si supererebbero i 3°C.  

E’ evidente l’importanza per l’Italia, vulnerabile e impreparata ad affrontare eventi atmosferici estremi, di essere rappresentata al tavolo da un’Europa forte: da sola non avrebbe ascolto, né potere negoziale.  Ciò vale ancor più dopo la posizione di Trump al recente G20 di ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo. La decisione di Trump è miope e un’Europa forte deve tenere salda la visione di lungo periodo che per l’Italia è essenziale.

I rischi che corriamo

Nell’ultimo rapporto dell’International Panel on Climate Change (IPCC) di ottobre 2018 si leggono dati allarmanti sull’impatto di un aumento della temperatura superiore a 1,5°. I rischi, considerati altamente probabili nel rapporto, investono l’equilibrio dell’ecosistema, l’aumento del livello del mare, la salute, la disponibilità di mezzi di sussistenza alimentare e il verificarsi di eventi atmosferici estremi.

Le regioni più esposte sono le zone costiere (si pensi all’Italia), le regioni soggette a una progressiva desertificazione, mentre 1 miliardo e 600 milioni di persone vivono in città potenzialmente soggette a temperature estreme; nelle città esposte a inondazioni vivono 800 milioni di persone e tra queste New York, Mombasa e Londra stanno predisponendo barriere al rischio di crescita del livello del mare. In Italia la prevenzione sul territorio lascia molto a desiderare.

La strategia

Energia e trasporti sono i settori maggiormente investiti dall’urgenza di cambiamento per ridurre le emissioni clima-alteranti e gli strumenti di intervento riguardano l’uso di fonti rinnovabili (solare, eolico, idrico, maree, geotermia), le tecnologie per migliorare l’efficienza energetica, l’uso di biocarburanti, la cattura del carbonio e l’abbandono del carbone; tutti obiettivi già avviati in Italia e contenuti nella Strategia Energetica Nazionale.  L’impegno per rispettare l’Accordo è significativo: in soli 12 anni, da oggi al 2030, l’energia elettrica dovrà essere prodotta da fonti rinnovabili per almeno il 50% nel mondo; l’uso del carbone dovrà ridursi del 60-80% al 2030 rispetto ai valori del 2010 e le nuove tecniche di cattura del carbonio dovranno essere messe in atto.

Ma il percorso è iniziato: dal 2012 più di metà della nuova capacità di generazione elettrica nel mondo è coperta dalla capacità di fonti rinnovabili, cresciuta dell’8% l’anno dal 2010 al 2018; il costo del solare e dell’eolico si è ridotto drasticamente (del 70-80%) e nel 2020 è prevista la parità con i combustibili fossili. Nuove tecnologie hanno migliorato l’efficienza energetica, disaccoppiando la domanda di energia dalla crescita economica. Per il trasporto su strada i tasselli del nuovo modello di veicoli elettrici o ibridi sono tecnologicamente pronti (batterie, nuovi materiali, strumenti di ricarica rapida) e il mondo industriale è sulla soglia del cambiamento, mentre è ancora complesso l’aggiustamento tecnologico richiesto per l’aviazione. I risultati delle misure avviate in Cina negli ultimi 5 anni con la National Strategy on Energy Production and Consumption Revolution 2016-2030   danno conto dei numeri elevati della trasformazione.

Dai rischi, le opportunità

Il primo tentativo di stipulare un accordo globale per contenere il riscaldamento, attuato nel 1997 con il Protocollo di Kyoto, è naufragato per la difficoltà di trovare consenso sulla suddivisione dei costi e degli investimenti necessari a decarbonizzare le economie – gli Stati Uniti di Bush non avevano ratificato il Protocollo temendo una perdita di competitività dell’industria americana.

Ma all’inizio del nuovo millennio il quadro è cambiato. La rivoluzione tecnologica in campo energetico, la rivoluzione digitale che ha consentito di adeguare le reti elettriche e i nuovi materiali per l’accumulo di elettricità hanno evidenziato le opportunità offerte da una crescita non solo più equa e rispettosa dei limiti ambientali, ma anche foriera di profitti e di lavoro in un modello alternativo di sviluppo.  Dal rapporto dell’IPCC emerge dunque che la tecnologia è pronta per portare a compimento la transizione necessaria a ridurre il trend di riscaldamento del pianeta.  Diventa cruciale l’Accordo politico, la visione dei leader globali che si potrebbe consolidare nella Conferenza in corso a Katowice.

I cittadini, l’industria, persino la finanza hanno già colto sia la gravità dei rischi vicini, sia le potenzialità di un modello di sviluppo alternativo. E l’Accordo globale ha assunto una prospettiva possibile; tocca ora ai leader delle grandi potenze, l’Europa in primo luogo, riconoscere la portata storica e le potenzialità per uscire dalle crisi in cui si sono incartati. All’Europa spetta un ruolo centrale per costruire un percorso costruttivo di alleanze con le altre grandi potenze, una strada che per l’Italia, da sola, sarebbe improponibile.