Stefano Micossi.

Si apre un periodo cruciale per l’Europa dell’Unione, dove il 26 maggio si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo. I sondaggi di opinione indicano che l’assedio populista sta perdendo vigore; mostrano che i voti delle formazioni sovraniste e populiste difficilmente supereranno il quinto dell’elettorato, più probabilmente si fermeranno al 15-16% del totale. Ma questo non è motivo sufficiente per dichiarare vittoria per i sostenitori dell’idea europea. La verità è che la costruzione soffre di una pericolosa crisi di consenso e, se ancora la maggioranza degli elettori non è pronta ad abbandonare l’idea, resta che l’efficacia della sua azione è molto indebolita dalle divisioni tra i suoi stati membri, che impediscono di affrontare con sufficiente determinazione le questioni cruciali della crescita economica, dell’immigrazione e della sicurezza esterna. Il presidente Macron ha cercato di innalzare il livello dell’iniziativa con le sue proposte per un bilancio comune dell’eurozona e di una difesa più integrata, ma non ha trovato sponda sufficiente a Berlino, mentre una rinata Lega anseatica di paesi del Nord-Europa, giunta a comprendere anche l’Irlanda, si oppone a qualunque avanzamento sul fronte della condivisione dei rischi finanziari dell’eurozona.

Quali dunque, le bandiere intorno alle quali raccoglierele truppe un po’ disorientate dell’europeismo in casa nostra? Per cominciare,le proposte del presidente Macron non possono essere abbandonate perchécontengono genuini avanzamenti delle politiche comuni; le nostre difficoltà suifronti della gestione dell’integrazione in casa e del controllo delle frontiereesterne non dovrebbero divenire il pretesto per ammiccare alle lineesovraniste. In secondo luogo, non si deve abbandonare la difesa intransigentedei processi di integrazione commerciale ed economica, che per l’Italia sonovera condizione di sopravvivenza – data la debolezza strutturale di tutto ilnostro settore dei servizi e lo stato semi-comatoso dell’amministrazionepubblica.  Senza l’accesso al mercato interno europeo per le nostreproduzioni e gli apporti di tecnologia che ci vengono dall’Europa saremmoveramente in ginocchio. Infine, l’euro ci ha garantito condizioni di stabilitàfinanziaria e bassi tassi d’interesse che non abbiamo utilizzato per investire,ma che ci hanno offerto un riparo almeno parziale dalle grandi tempestefinanziarie.

Il tentativo di violare platealmente le regole distabilità dell’eurozona con la recente Legge di bilancio per fortuna èrientrato; né possiamo sorprenderci se i nostri partner europei non voglionoesporsi al rischio di dover pagare i costi del nostro debito pubblico, sequesto andasse fuori controllo. La partita più difficile qui è quella diconvincere gli italiani che il disavanzo pubblico non è uno strumento dicrescita duratura, che anzi quel che distribuiamo senza copertura oggi,pagheremo domani molto più caro. Dobbiamo riuscire a spiegare che le buonepolitiche economiche sono quelle che fanno funzionare il mercato del lavoro emigliorano la capacità produttiva e tecnologica. Dobbiamo riuscire a convincereche la strada antica delle periodiche svalutazioni con inflazione, lungi dalrisolvere il conflitto distributivo tra i lavoratori e le imprese, tra ilMezzogiorno e il resto del paese, alla fine non porta né posti di lavoro néstabile crescita.  Che dunque la moneta comune fornisce un ambiente nelquale possiamo avere crescita e occupazione, insieme a un bilancio pubblicoequilibrato e a una graduale riduzione del nostro debito pubblico.