Chi scommette sul nostro futuro, e chi no?

Ricerca, innovazione, conoscenza. Sono questi i beni sui quali investire per il futuro, ma purtroppo l’Italia, da sola, non fa abbastanza. Nel 2016 il nostro paese ha investito in ricerca e sviluppo circa l’1,4 per cento di PIL, di cui soltanto lo 0,5 per cento sono investimenti pubblici. Una percentuale in crescita negli ultimi anni, ma decisamente inferiore per esempio a quella della Francia (2,3%) e della Germania (2,9%). Per questo,

l’Unione europea gioca un ruolo fondamentale per sostenere gli italiani in questo settore che conta più di 180,000 ricercatrici e ricercatori occupati nel nostro paese.

Sono 740,3 milioni di euro i contributi europei per progetti di ricerca e innovazione raccolti dalle università italiane dal 2014 a oggi. E l’Italia è anche in cima alla lista dei Paesi beneficiari per i finanziamenti europei per l’innovazione delle piccole e medie imprese.

In altre parole, è grazie all’Europa se sono state introdotte negli ultimi decenni tante piccole innovazioni, che hanno permesso non solo di migliorare la vita dei cittadini, in alcuni casi di salvarla, ma anche di favorire la crescita economica. Vediamo come.

L’esempio principe è il programma Horizon 2020 (qui e qui): 80 miliardi di euro in sei anni, per sostenere la creazione di uno Spazio Europeo della Ricerca. Un progetto con un forte accento sull’innovazione tecnologica, sullo sviluppo sostenibile, sull’accesso libero ai dati e ai risultati. Insieme a questa strategia troviamo quello che sta diventando lo strumento più importante di finanziamento della ricerca: i bandi European Research Council (ERC). Con questo programma, l’Europa dedica ingenti somme (1,8 miliardi l’anno) al finanziamento di progetti di ricerca di eccellenza nel campo delle scienze applicate e sociali. Dal 2007 sono stati oltre 9,000 i bandi assegnati, permettendo a decine di migliaia di ricercatori di ottenere risultati straordinari. Tra i progetti più recenti, un vaccino contro l’ebola, ricerche per la lotta a malattie genetiche dei bambini come la sindrome di ADA,  progetti per ottenere energia pulita dai semi di piante non commestibili e tanti altri che hanno cambiato la vita di noi cittadini.

Nemo ricercatore in patria

Moltissimi di questi risultati europei sono frutto del lavoro degli istituti e dei ricercatori italiani. Siamo infatti il secondo paese per numero di vincitori di finanziamenti di ricerca europei, ma purtroppo meno della metà delle ricercatrici e dei ricercatori premiati conducono le ricerche sul territorio italiano. Un vero peccato, perché i ricercatori italiani finanziati dall’UE ottengono spesso importanti riconoscimenti internazionali, come 6 premi Nobel, 3 medaglie Fields e 5 premi Wolf, ma è soltanto con la capacità di coordinazione europea che possiamo raggiungere risultati di simile eccellenza.

La ricerca è una risorsa inesauribile

Gli investimenti europei sono cruciali per tutta la nostra economia. Come insegna il premio Nobel Paul Romer infatti, lo sviluppo economico e sociale è basato sempre di più sulla capacità di innovare e inventare nuove tecnologie. Creare spazi di innovazione significa generare centri di lavoro ad alto valore aggiunto, che possono fungere da calamita per altri investimenti e da traino per interi territori. Il coordinamento dell’Unione europea in questo settore serve a fare in modo che gli investimenti siano ottimizzati generando sinergie e benefici comuni.

E’ l’Europa lo strumento migliore e più naturale per promuovere un’economia della conoscenza, che ci permetta come nei migliori periodi del nostro continente di condividere le scoperte e i progressi, migliorando la nostra vita quotidiana, la nostra vita sociale e le nostre condizioni di lavoro.