La lotta in Venezuela fra il contestato presidente Nicolàs Maduro e il leader del Parlamento Juan Guaidò sta avendo ripercussioni anche sull’UE. I fatti sono noti: la rielezione di Maduro è stata considerata illegittima dall’opposizione politica che domina il Parlamento e Maduro, di fatto, ha “chiuso” il parlamento stesso giustificando quindi lo speaker di quest’ultimo, Guaidò a dichiararsi presidente ad interim del paese in attesa di nuove elezioni. Una mossa presa sulla base dell’art. 233 della Costituzione venezuelana che attribuisce tale ruolo provvisorio al presidente del parlamento in caso “indisponibilità permanente” del presidente dell’esecutivo.

In Europa quali posizioni si sono prese?

Ma al di là delle diverse interpretazioni sull’applicabilità o meno di questo articolo alla situazione creatasi in quel paese, l’UE si è trovata nella necessità di dovere adottare una posizione comune. Come succede ormai spesso, se non sempre in questi casi, i primi a muoversi sono stati alcuni stati membri. La Francia ha aperto il fuoco di fila contro Maduro riconoscendo la giustezza della mossa di Guaidò e minacciando di riconoscerlo come presidente se entro 8 giorni Maduro non avesse convocato nuove elezioni. Tale posizione è stata subito seguita, con poche variazioni lessicali, da Germania, Spagna e Inghilterra. Ma questi sono solo quattro paesi sui 28 dell’UE: era ovviamente necessaria una posizione comune.

La necessità di una posizione comune sul Venezuela

Dopo alcune ore l’Alto Rappresentante, Federica Mogherini, è stata in condizione di diffondere una dichiarazione comune, ma dal tono molto più prudente e vago di quella manifestata da Parigi e dagli altri tre paesi. In effetti la dichiarazione UE recita che in assenza di un annuncio di nuove elezioni nei prossimi giorni, l’UE deciderà altre azioni, compreso il riconoscimento di una nuova leadership del paese in linea con l’art. 233 della costituzione venezuelana. Si noterà che manca il termine ultimativo di 8 giorni né la menzione esplicita di Guaidò come nuovo presidente ad interim. Chiaramente questo tono “diplomatico” dipende da posizioni diverse da quella francese o tedesca in alcuni altri paesi membri dell’UE, fra cui l’Italia dove il governo e le forze politiche che lo compongono sono profondamente divise sull’argomento.

Gli ostacoli a una politica estera veramente comune

Ma a parte gli aspetti politici della vicenda venezuelana, quello che ci preme mettere in luce è l’estrema difficoltà per l’UE di portare avanti una politica estera unitaria ed efficace. Non è questa la prima volta che alcuni paesi precedono l’UE in reazione ad un evento internazionale. Anzi, è da quando la politica estera e di sicurezza (PESC) è stata ufficialmente inserita in un trattato, quello di Maastricht del 1993, che il problema si pone. Si pensava che con l’ultimo Trattato, quello di Lisbona, la questione di una efficiente PESC fosse stata in parte risolta con l’adozione del voto a maggioranza qualificata per le posizioni e azioni comuni dell’UE.

È quanto prevede infatti l’art.31 del TUE che rende “normale” l’uso del voto a maggioranza in un campo, quello della politica estera, ritenuto da sempre di gelosa competenza nazionale. Assieme ai grandi poteri attribuiti all’Alto Rappresentante si pensava quindi di avere superato questa riserva mentale degli stati membri. Ma lo stesso art. 31 nell’ultimo comma del secondo paragrafo prevede che “se un membro del Consiglio dichiara che, per specificati e vitali motivi di politica nazionale, intende opporsi all’adozione di una decisione che richiede la maggioranza qualificata, non si procede alla votazione.” Il diavolo sta proprio nei dettagli, poiché di fronte a questa minaccia è chiaro che alla fine, a prevalere, finisce per essere l’unanimità, la regola aurea su cui si è sempre basata la PESC. Le conseguenze per l’UE sono nefaste sia in termini di rapidità della decisione, sia in termini di contenuto, solitamente a livello di minimo comun denominatore per potere accontentare tutti sia, infine, in termini di credibilità internazionale. Soprattutto oggi di fronte ad un contesto geopolitico in grande mutamento, con attori influenti e spesso ostili nei nostri confronti, dalla Russia alla Turchia e financo agli Stati Uniti, a mancare è proprio l’attore UE. Di ciò si rendono conto diversi leader europei. Fra di loro anche Angela Merkel, che ha più volte suggerito la necessità di adottare votazioni a maggioranza qualificata senza norme che la ostacolino, come quella dell’art. 31 sopra ricordata, o anche una sorta di Consiglio di Sicurezza dell’UE, come ebbe a dichiarare il 13 novembre 2018 davanti al Parlamento europeo.

Le prossime elezioni, un’occasione per riprendere la discussione

La discussione dovrà essere ripresa dopo le prossime elezioni del Parlamento europeo, perché un’UE senza voce unica ha ben poche speranze di essere presa seriamente nelle grandi crisi internazionali. Ecco un settore in cui ci vuole più Europa e non meno. Ecco un impegno che le forze politiche europeiste dovrebbero adottare come bandiera: è la politica estera e di sicurezza la vera grande scommessa della futura Unione europea in un mondo che cambia.