Uno studio recente della CGIa Mestre (Associazione Artigiani e Piccole Imprese), che elabora i dati del Banca Mondiale e della Commissione europea, ha appurato che la nostra pubblica amministrazione è tra le meno efficienti tra i 17 Paesi dell’Eurozona. Solo Grecia e Malta ottengono un risultato peggiore.
L’obiettivo della ricerca era individuare gli Stati europei dove è più semplice fare impresa. Ai primi posti della classifica si collocano, in sequenza, Finlandia, Irlanda e Germania. L’Italia è al 15° posto, mentre nella graduatoria mondiale siamo al 65° posto. Si tratta di dati che non sorprendono e che anzi si pongono in linea di continuità con rapporti analoghi pubblicati a livello internazionale in anni recenti.
L’Italia fanalino di coda
Alcuni dati, contenuti nello studio della CGIA Mestre, fanno riflettere. L’Italia è il fanalino di coda o quasi con riguardo ai seguenti indicatori: costo per avviare un’impresa pari al 14,2% sul reddito pro capite, ultimi in graduatoria); numero di giorni per completare le procedure di importazione e di esportazione di merci (ultimi in graduatoria); numero di giorni per ottenere i permessi per costruire un capannone (234 giorni in media: solo la Slovacchia e Cipro hanno tempi più lunghi); 1185 giorni necessari per risolvere una controversia commerciale (terz’ultimi in graduatoria con una media europea di 622 giorni); il carico fiscale sui profitti commerciali di un’impresa è pari al 65,8%, contro una media europea del 44,3%; i tempi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni sono i peggiori in Europa. In termini assoluti, al sistema delle piccole e medie imprese la burocrazia costa quasi 31 miliardi di euro all’anno e il peso medio per ciascuna di esse è di circa 7.000 euro.
Secondo la CGIA Mestre, a causa del cattivo funzionamento della nostra macchina pubblica e dell’eccessivo peso della burocrazia l’Italia è in coda alla classifica europea per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri, seguita solo dalla Grecia che risulta il paese con l’attrattività estera peggiore. Cattivo funzionamento della giustizia, deficit infrastrutturale, criminalità organizzata allontanano gli investitori stranieri.
Carenze interne
Tutti i fattori di debolezza del nostro Paese (pubblica amministrazione, giustizia, criminalità, carenza di infrastrutture e, aggiungeremo noi un sistema scolastico e universitario di basso livello) indicati nello studio della CGIA Mestre hanno un elemento in comune: si tratta di fattori “interni”, che poco o nulla hanno a che vedere con l’Europa.
L’Europa avrà pure le proprie colpe, e può essere giusto criticarla, ma è certo che se la situazione generale dell’Italia è così negativa, ciò dipende da carenze di capitale umano, sociale, organizzativo tutte nostrane. Oltretutto, andrebbero condotte analisi più mirate e effettuate suddivisioni per aree territoriali che farebbero emergere differenze regionali e locali assai marcate. Del resto, il confronto tra alcune città del nord (Milano in testa) e del centro-sud (Roma in testa) è impietoso.
Né si può sperare ragionevolmente che l’Europa, ora come ora, ci possa essere di aiuto su questi versanti. E anche dove lo ha fatto (come nel caso della Direttiva Bolkenstein sulle semplificazioni burocratiche), l’Italia non ha saputo (o voluto, come nel caso delle concessioni balneari che ci rifiutiamo di voler mettere a gara) trarne tutti i frutti.
La nostra sfida
La sfida per il nostro Paese è allora quella di cercare di uscire da sabbie mobili nelle quali noi stessi, più o meno consapevolmente, stiamo sprofondando. E se mai, una strategia da considerare sarebbe quella di chiedere ancora più Europa proponendo un ampliamento graduale delle competenze europee anche in settori più vicini al nocciolo duro della sovranità nazionale, come appunto la pubblica amministrazione e la giustizia.