Poco dopo il suo insediamento, il Parlamento Europeo che risulterà dalle elezioni di maggio, dovrà approfondire e concludere il dibattito e l’interazione con il Consiglio per decidere il Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027. Si tratta dello schema entro il quale, di anno in anno, l’UE fisserà le entrate e le uscite del suo bilancio.

In un periodo in cui sembra difficile e controverso avanzare nell’integrazione comunitaria, il varo della strategia di lungo periodo del bilancio riveste grande importanza. Una strategia innovativa e ben comunicata rafforzerebbe il convincimento dei cittadini europei circa il fatto che l’UE è utile e vicina ai loro interessi. La preparazione delle proposte di bilancio è in corso da tempo e, anche per iniziativa della Commissione, ha prodotto proposte di rilievo.

Un bilancio troppo piccolo?

Un aspetto molto criticato del bilancio UE è che finora è stato piccolo, dell’ordine dell’1% del PIL europeo. Questa ridottissima dimensione (i bilanci pubblici degli Stati membri sono 30-40 volte più grandi) è considerata un connotato di incompletezza della costruzione comunitaria, uno degli aspetti che, fra l’altro, rende l’unione monetaria debole e quasi artificiosa perché non accompagnata da un’unione “fiscale”. Quest’ultima è vista come presupposto dell’unione “politica”, quella che potrebbe davvero far diventare l’Europa un attore incisivo e rilevante anche nello scenario mondiale.

Fatto sta che i lavori in corso sul quadro pluriennale non prevedono un aumento significativo del bilancio comunitario. I tempi non paiono adatti a dar luogo al consenso politico per far passare direttamente da Bruxelles una quota sostanzialmente maggiore della finanza pubblica europea. Il tentativo che sta emergendo punta piuttosto su una riforma qualitativa delle entrate e delle uscite dell’Unione. Una riforma che potrebbe rendere il bilancio più efficace, chiarirne l’utilità all’opinione pubblica, dare un contributo significativo all’integrazione comunitaria.

Ridurre l’intermediazione degli Stati membri

Dal lato delle entrate l’idea guida è quella di ridimensionare l’importanza dei trasferimenti indiretti con cui gli Stati riversano nel bilancio UE quote delle loro entrate fiscali (l’IVA in particolare) aumentando invece i prelievi diretti di tributi speciali da parte dell’Ue fra i quali, ad esempio, tasse ecologiche su inquinamenti ambientali. Simmetricamente, dal lato delle uscite, si tenterebbe di ridurre l’incidenza dei trasferimenti di fondi dall’UE agli Stati membri (che appaiono come delle restituzioni più o meno parziali dei fondi conferiti dagli stati a Bruxelles), oggi di gran lunga prevalenti. Ciò significherebbe ridurre ulteriormente i sussidi all’agricoltura e i fondi per la convergenza delle regioni meno sviluppate. Verrebbero invece molto accresciute le spese per produrre direttamente da parte dell’UE beni pubblici indiscutibilmente europei, come la difesa e la sicurezza comunitarie, la gestione delle migrazioni, la ricerca fondamentale, la mobilità della popolazione, le infrastrutture transnazionali e altri investimenti di rilievo europeo.

Un bilancio al sostegno di beni pubblici e interessi comuni

Questa riforma della qualità del bilancio ne aumenterebbe la specificità rispetto ai bilanci nazionali, lo destinerebbe a ciò che ai cittadini può apparire più propriamente comunitario. Renderebbe inoltre più evidente la scorrettezza dei calcoli che oggi si fanno sulla posizione creditrice o debitrice di ogni Stato membro rispetto all’Unione. Entrate e uscite comunitarie riguardano infatti beni pubblici e politiche che vogliono essere nell’interesse di tutti e non possono ricondursi al dare e all’avere dei singoli Stati.

È augurabile che la riforma possa avanzare, prevalendo sugli interessi nazionalistici e speciali che verrebbero sacrificati, compresi quelli di chi oggi beneficia poco produttivamente dei contributi, sussidi e trasferimenti di fondi europei.